Concessioni dirette: no all’obbligo di esternalizzazione completa dell’attività

Dichiarata illegittima la norma che impone al titolare della concessione di affidare a terzi l’80 per cento dei contratti e il restante 20 per cento a società in house

Concessioni dirette: no all’obbligo di esternalizzazione completa dell’attività

Non accettabile l’obbligo imposto dallo Stato ai titolari di concessioni affidate direttamente di esternalizzare tutta l’attività oggetto della concessione – di importo pari o superiore ai 150.000 euro. Secondo la norma, il titolare della concessione già in essere – e non assegnata con la formula della finanza di progetto o con procedure ad evenienza pubblica – deve affidare a terzi mediante appalto pubblico l’80 per cento dei contratti inerenti la concessione e assegnare il restante 20 per cento a società in house o comunque controllate o collegate ovvero operatori individuati mediante procedura ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato. Per i giudici della Consulta, però, questa è una misura irragionevole e sproporzionata, a fronte del legittimo scopo di garantire l’apertura al mercato e alla concorrenza. In sostanza, secondo i giudici costituzionali, il legislatore può intervenire a limitare la libertà di impresa in funzione della tutela della concorrenza, ponendo rimedio, attraverso l’esternalizzazione obbligata, ai passati affidamenti diretti, avvenuti al di fuori delle regole di mercato, ma nella normativa presa in esame si è omesso di considerare non solo l’interesse dei concessionari ma anche quelli dei concedenti, degli eventuali utenti del servizio e del personale occupato nell’impresa. (Sentenza 218 del 23 novembre 2021 della Corte Costituzionale)

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