Erogata acqua risultata non potabile: legittimo il rimborso per il consumatore

Legittimo, precisano i giudici, parlare di consegna di aliud pro alio, in quanto l’acqua non potabile è cosa del tutto diversa da quella potabile

Erogata acqua risultata non potabile: legittimo il rimborso per il consumatore

A fronte di un contratto per la somministrazione di acqua potabile, l’erogazione di acqua risultata non utilizzabile per uso alimentare costituisce consegna di aliud pro alio, in quanto l’acqua non potabile è cosa del tutto diversa da quella potabile, essendo la potabilità una qualità essenziale riferita alla compatibilità con l’organismo umano. In tal caso, il consumatore ha diritto alla restituzione del corrispettivo pagato per il servizio di erogazione di acqua potabile, indipendentemente dalla prova della concreta pericolosità dell’acqua erogata per la salute umana. Questi i punti fermi fissati dai giudici (ordinanza numero 28184 del 31 ottobre 2024 della Cassazione), i quali hanno riconosciuto in via definitiva il diritto di un consumatore ad ottenere un rimborso per gli importi da lui pagati per la fornitura idrica nel periodo 2011-2014, essendo stata riscontrata la presenza di tallio nell’acqua. Decisivo, nella vicenda in esame, il riferimento al provvedimento adottato nell’ottobre del 2014 dal sindaco, il quale, sulla scorta degli esiti degli esami eseguiti dall’Università e a seguito di valutazioni congiunte assunte dopo una riunione ad hoc con l’Azienda sanitaria locale del 22 settembre 2014, aveva disposto la non utilizzazione, sino a nuove disposizioni, dell’acqua della rete dell’acquedotto ad uso alimentare. Per maggiore chiarezza, i giudici precisano che, non essendo stato chiesto dal consumatore il risarcimento del danno bensì solo il rimborso di quanto pagato per il servizio di erogazione di acqua potabile, è irrilevante che l’acqua erogata fosse o meno concretamente pericolosa per la salute umana. Anche perché l’obiettivo della norma è di garantire la salubrità e la pulizia delle acque potabili per proteggere la salute umana. In sostanza, la somministrazione, attraverso la rete di distribuzione pubblica, di acqua non utilizzabile per uso alimentare ha integrato gli estremi dell’inadempimento degli obblighi assunti con il contratto di somministrazione. Più precisamente, la distribuzione di acqua non priva di ogni metallo pesante e di ogni altro elemento inquinante e tossico per la salute umana rappresenta un inadempimento imputabile al gestore del servizio idrico incaricato del processo di gestione della risorsa idrica (anche) nella fase di depurazione. E, in questa vicenda, che l’acqua erogata non fosse potabile è risultato idoneamente provato proprio attraverso il provvedimento con cui il sindaco ne aveva sospeso l’erogazione. E, chiariscono i giudici, non è sufficiente ad escludere l’inadempimento del gestore del servizio idrico il fatto di avere provveduto alla segnalazione del problema e di avere poi richiesto l’intervento degli enti di controllo, né l’essersi attivato fattivamente per approvvigionare prima gli utenti di acqua potabile attraverso una rete di distribuzione mobile e per ripristinare poi la somministrazione di un servizio idrico ottimale.

news più recenti

Mostra di più...