Ottenuta la risoluzione del contratto, la parte non può rinunciare ai relativi effetti
Non sono cancellabili, per iniziativa unilaterale della parte non inadempiente, gli effetti risolutivi già prodotti

La parte che ha ottenuto la risoluzione legale o giudiziale del contratto non può rinunciare ai relativi effetti, restando altrimenti leso il legittimo affidamento del debitore nell’ormai intervenuta risoluzione. Questo il principio fissato dai giudici (ordinanza numero 25128 del 18 settembre 2024 della Cassazione), i quali hanno sancito che il concedente di un’autovettura in leasing, una volta dichiarato di volersi avvalere di una clausola risolutiva espressa connessa al furto del bene, non può, per iniziativa unilaterale, far rivivere il contratto in conseguenza del ritrovamento del veicolo, essendosi gli effetti risolutivi già cristallizzati nel momento in cui la dichiarazione era giunta a conoscenza dell’utilizzatrice. In sintesi, non sono cancellabili, per iniziativa unilaterale della parte non inadempiente, gli effetti risolutivi già prodotti. Per fare chiarezza, i magistrati richiamano principi ad hoc, secondo cui, se il contratto è risolto, creditore e debitore sono ormai liberati dalle rispettive obbligazioni (salvo quelle restitutorie), e l’effetto risolutivo, destinato a prodursi automaticamente, cristallizza un inadempimento e le sue conseguenze in iure impedendo ogni ulteriore attività di disposizione dell’effetto stesso. Ciò allo scopo di realizzare un irrinunciabile bilanciamento tanto dei contrapposti interessi negoziali – compreso quello dell’inadempiente che non può indefinitamente restare esposto all’arbitrio della controparte – quanto di quelli, più generali, al rapido e non più discutibile rientro nel circolo economico di quei beni coinvolti nella singola, patologica vicenda contrattuale. Irrilevante, chiariscono i giudici, il fatto che l’effetto solutorio sia sub iudice, cioè ancora in itinere, per estensione della stessa ratio per cui la proposizione di una domanda giudiziale di risoluzione implica l’assenza di interesse del creditore all’adempimento e il conseguente acquisto, da parte del debitore, di una sorta di diritto a non adempiere. Inoltre, la concezione dell’effetto risolutivo disponibile in capo al creditore pare figlia di una ideologia fortemente punitiva per l’inadempiente, si atteggia a mo’ di sanzione punitiva senza tempo, assume forme di (ingiustificata) ipertutela del contraente adempiente, di cui si legittima ogni mutevole e repentino cambiamento di umore negoziale. Perciò, la rinuncia all’effetto risolutorio da parte del contraente non adempiente non può ritenersi in alcun modo ammissibile, trattandosi di effetto sottratto, per evidente voluntas legis, alla libera disponibilità del contraente stesso. Applicando detti principi alla vicenda in esame, deve ritenersi che: avvalendosi della clausola risolutiva espressa del contratto di leasing, la concedente aveva manifestato il suo chiaro intendimento di ritenere il contratto risolto; il contratto si era risolto nel momento in cui la dichiarazione era giunta a conoscenza dell’utilizzatrice; in quel momento si erano cristallizzati gli effetti risolutivi; per iniziativa unilaterale della concedente non era possibile far rivivere il contratto, al netto degli effetti restitutori e risarcitori provocati dalla risoluzione.