Basta una condotta superficiale per la revoca della licenza di porto di fucile

Confermato dai giudici il provvedimento adottato nei confronti di un uomo colpevole di aver dimenticato di portar con sé in vacanza le chiavi dell’armadio blindato ove custodiva le proprie armi, consentendo così al figlio minorenne d’impossessarsi di una pistola

Basta una condotta superficiale per la revoca della licenza di porto di fucile

Nessuna giustificazione per il papà smemorato che dimentica di portar con sé in vacanza le chiavi dell’armadio blindato ove custodiva le proprie armi, consentendo così al figlio minorenne, rimasto a casa, una volta trovate le chiavi ed aperto l’armadio blindato, d’impossessarsi di una pistola, per poi portarla, assieme ad un amico, in un luogo pubblico.
Questa la prospettiva adottata dai giudici (sentenza numero 17035 del 3 ottobre 2025 del Tar Lazio) per legittimare il provvedimento con cui la Questura ha revocato all’uomo la licenza di porto di fucile per uso caccia.
Fatale all’uomo è stato il controllo effettuato da una pattuglia dell’Arma dei Carabinieri nei confronti del figlio, che si è ritrovato addebitato il reato di porto abusivo d’armi. Andando a ritroso, i militari sono risaliti al proprietario dell’arma illegittimamente detenuta dal ragazzo. E così l’uomo è finito nel mirino della Questura, vista la scarsa diligenza nella custodia dell’arma da lui regolarmente posseduta.
Per i magistrati è necessario partire da un punto fermo: il porto d’armi non costituisce oggetto di un diritto assoluto, rappresentando un’eccezione al normale divieto di detenere armi e potendo essere riconosciuto soltanto a fronte della perfetta e completa sicurezza circa il loro buon uso, in modo da scongiurare dubbi o perplessità, sotto il profilo prognostico, per l’ordine pubblico e per la tranquilla convivenza della collettività. In questa ottica, quindi, il giudizio che compie l’autorità di pubblica sicurezza è espressione di una valutazione ampiamente discrezionale, che presuppone una analisi comparativa dell’interesse pubblico primario, degli interessi pubblici secondari, nonché degli interessi dei privati, oltre che un giudizio di completa affidabilità del soggetto.
Di conseguenza, stante l’assenza di un diritto assoluto al porto d’armi, nella valutazione comparativa degli interessi coinvolti assume carattere prevalente, nella scelta selettiva dell’amministrazione, quello di rilievo pubblico, inerente alla sicurezza e all’incolumità delle persone, rispetto a quello del privato, tanto più nei casi di impiego dell’arma per attività di diporto o sportiva. E l’apprezzamento discrezionale rimesso all’autorità di pubblica sicurezza involge soprattutto il giudizio di affidabilità del soggetto che detiene o aspira a ottenere il porto d’armi, da condursi attraverso un giudizio prognostico ex ante in concreto, fondato su criteri di tipo probabilistico da cui inferire l’eventualità che in una prospettiva diacronica tale abuso non si realizzi.
Il giudizio di affidabilità sul corretto uso delle armi involge anche i profili inerenti gli obblighi di loro custodia da parte di chi è già titolare di licenza di porto d’armi, finalizzati evidentemente ad evitare che terzi soggetti, per i quali l’autorità di pubblica sicurezza non ha condotto alcuna prognosi di affidabilità, vengano in possesso e, in tesi, utilizzino indebitamente le armi. Ed infatti, il giudizio di natura prognostica con cui l’amministrazione valuta l’affidabilità del richiedente il porto d’armi attiene non solo agli aspetti subiettivi legati alla personalità, allo stile e alla condotta di vita da cui potersi inferire un pericolo di abuso delle armi, ma involge anche gli aspetti strettamente oggettivi legati a specifici episodi rivelatori del grado di diligenza con cui il titolare della licenza attende alla custodia delle armi per le quali è stato autorizzato il porto. Si tratta, evidentemente, di valutazioni che attengono a piani differenti ma che, in egual misura, sono finalizzate ad evitare un abuso delle armi, nel primo caso da parte dello stesso richiedente la licenza (ove ritenuto, secondo una prognosi inferenziale di tipo soggettivo, non affidabile), nel secondo caso da parte di terzi soggetti che potrebbero venire in possesso delle armi mal custodite da parte del soggetto titolare di licenza.
Quindi, l’incauta custodia delle armi è elemento valutabile dalla Questura in sede di richiesta di rilascio o rinnovo del titolo (sempreché non sussista una precedente valutazione discrezionale già autonomamente operata dalla Prefettura ai fini dell’eventuale divieto di detenzione delle armi), a prescindere dal giudizio complessivo di tipo soggettivo sulla personalità del soggetto, in ragione del pericolo suscettibile di essere arrecato alla pubblica incolumità da armi non adeguatamente custodite dai titolari di licenza di porto d’armi.
Non a caso, è previsto il reato di omessa custodia di armi, fattispecie di mera condotta e di pericolo che si perfeziona per il solo fatto che il soggetto non abbia adottato le cautele necessarie, sulla base di circostanze da lui conosciute o conoscibili con l’ordinaria diligenza, indipendentemente dal fatto che una delle persone indicate dalla norma – minori, soggetti incapaci, inesperti o tossicodipendenti – sia giunta a impossessarsi dell’arma o delle munizioni).
Applicando questa ottica alla vicenda in esame, è corretta, secondo i giudici, la prognosi inferenziale compiuta dalla Questura, poiché dall’informativa redatta dal Comando Stazione Carabinieri) emerge che l’uomo stato deferito all’autorità giudiziaria in quanto, recatosi a Milano, non ha portato con sé le chiavi dell’armadio blindato ove custodiva le proprie armi e il figlio convivente minorenne, rimasto a casa, ha trovato le chiavi, ha aperto l’armadio e si è impossessato di una pistola, per poi portarla, unitamente ad un coetaneo, in un luogo pubblico, ove è stato fermato da una pattuglia dei Carabinieri di Anagni e denunciato per il reato di porto abusivo di armi.
Ciò che rileva, secondo i giudici, è il fatto oggettivo (e non contestato) che l’uomo si sia allontanato dalla propria abitazione senza portare con sé le chiavi dell’armadio blindato in cui deteneva le armi, chiavi che rimanevano nell’appartamento e, pertanto, ben potevano essere rivenute da soggetti diversi dal titolare della licenza di porto d’armi. È irrilevante la circostanza che il figlio minore fosse stato affidato alla zia materna e che si sia introdotto nell’appartamento senza autorizzazione della donna, dal momento che quello che rileva, ai fini della valutazione della condotta di omessa custodia, è il fatto che l’uomo, pur avendo custodito le armi in un armadio blindato, abbia comunque lasciato le chiavi di detto armadio nell’appartamento, così di fatto elidendo quell’obbligo di custodia necessario al fine di evitare il pericolo di utilizzo delle armi da parte di soggetti diversi dal titolare della licenza.
Va aggiunto poi, osservano i giudici, che la valutazione condotta dall’autorità di pubblica sicurezza si fonda sull’analisi del fatto storico nella sua dimensione oggettiva, a prescindere dal disvalore penale dello stesso, e, peraltro, la sentenza di assoluzione dell’uomo, successiva all’adozione del provvedimento della Questura, non è idonea a scalfire la legittimità della revoca del porto d’armi ad uso caccia.

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