Chiarezza sul riconoscimento in Italia di qualifiche professionali conseguite all’estero
I giudici precisano che, qualora venga presentato un titolo di formazione, l’amministrazione deve comunque valutare il percorso di studi del richiedente e decidere eventualmente allo stato degli atti, riconoscendo il titolo, disponendo eventuali misure compensative, ovvero può respingere motivatamente l’istanza.

In materia di riconoscimento in Italia delle qualifiche professionali conseguite in uno Stato membro dell’Unione Europea ai fini dell’esercizio sul territorio nazionale di una professione regolamentata, è illegittimo il provvedimento di rigetto della istanza che sia motivato con riferimento all’assenza nella documentazione prodotta della cosiddetta “apostille” (come da convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961) o di altra forma di legalizzazione dei documenti presentati. Ciò perché si tratta di un adempimento non previsto dalla specifica direttiva comunitaria né dalla normativa nazionale italiana. E, peraltro, la prassi di richiedere tale “apostille” rappresenta un ostacolo alla libera circolazione del mercato interno, alla luce del ‘Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea’) e non risulta rispettoso del principio di proporzionalità. Questo il punto fermo fissato dai giudici (sentenza 20177 del 13 novembre 2024 del Tar Lazio), i quali ricordano poi che la cosiddetta “apostille” è un timbro che viene apposto dal governo di un Paese firmatario della convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961 che riconosce la qualità con cui opera il funzionario pubblico che ha sottoscritto il documento, la veridicità della firma e l’identità del timbro o del sigillo del quale il documento è rivestito. L’apposizione di tale timbro non rende necessaria la legalizzazione del documento da parte dell’autorità diplomatica del Paese di provenienza. Allo stesso modo, è illegittimo il provvedimento di rigetto della istanza di riconoscimento in Italia del titolo di formazione professionale conseguito in Romania che sia motivato con riferimento all’assenza nella documentazione prodotta dall’istante della “adeverinta” (certificato ministeriale recante l’attestato di abilitazione all’insegnamento in una determinata materia), poiché la comparazione tra la formazione compiuta all’estero (Stato di provenienza) e quella prevista dallo Stato di appartenenza va effettuata in concreto. Inoltre in mancanza della “adeverinta” possono soccorrere gli attestati di formazione esteri e nazionali ovvero possono essere disposte misure compensative più significative di quelle ordinarie. Col termine “adeverinta” si fa riferimento, viene precisato, all’attestazione con cui la competente autorità dello Stato membro in cui il titolo è stato conferito (nel caso specifico, il Ministero dell’Educazione romeno) certifica il valore abilitante della formazione conseguita sul territorio dello Stato, indicando la disciplina specifica in cui l’abilitazione è stata conseguita, oltre alla fascia d’età degli alunni. Alla luce delle indicazioni europee, la “adeverinta” è passibile di richiesta di integrazione documentale. A questo proposito, viene precisato che, in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali conseguite in uno Stato membro dell’Unione Europea ai fini dell’esercizio sul territorio nazionale di una professione regolamentata, i termini previsti a livello comunitario hanno, in assenza di espressa indicazione nel senso della loro perentorietà, natura ordinatoria. L’inadempimento dell’istante alla richiesta di integrazione istruttoria dell’amministrazione, peraltro suscettibile di proroga ovvero di sospensione secondo i generali principi di proporzionalità e di favor per la libertà di circolazione, non può condurre ex se al rigetto dell’istanza. Difatti, qualora venga presentato un titolo di formazione, l’amministrazione deve comunque valutare il percorso di studi del richiedente e decidere eventualmente allo stato degli atti, riconoscendo il titolo, disponendo eventuali misure compensative, ovvero può respingere motivatamente l’istanza.