Restituzione di beni mobili: da provare la proprietà e, poi, l’affidamento al debitore
Presa in esame l’istanza con cui una società, a fronte del fallimento di una ‘s.r.l.’, ha chiesto la restituzione di beni mobili detenuti in locali relativamente ai quali il curatore aveva apposto i sigilli

A fronte della opposizione allo stato passivo fallimentare, per la restituzione di beni mobili il soggetto è onerato della doppia prova della proprietà del bene e dell’affidamento del bene al debitore per un titolo diverso dalla proprietà, indipendentemente dall’esistenza di un titolo in base a cui detiene gli immobili in cui i beni mobili rivendicati sono custoditi.
Questi i punti fermi fissati dai giudici (ordinanza numero 15013 del 4 giugno 2025 della Cassazione), chiamati a prendere in esame l’istanza con cui una società, a fronte del fallimento di una ‘s.r.l.’, ha chiesto la restituzione di beni mobili detenuti in locali relativamente ai quali il curatore aveva apposto i sigilli, deducendone l’illegittima apposizione, quanto agli immobili in cui si trovavano i beni oggetto di domanda di restituzione, in quanto beni immobili detenuti dalla società, risultata anche conduttrice, ancorché il contratto fosse stato risolto, dei locali in cui erano stati rinvenuti i beni inventariati.
Per il giudice di merito è risultato decisivo un dettaglio, ossia la mancata prova della proprietà dei beni mobili rivendicati dalla società, beni che si trovavano in locali di proprietà della fallita ma già detenuti in locazione dalla società, con contratto successivamente risolto e in relazione al quale la società doveva ritenersi occupante senza titolo.
Sulla stessa lunghezza d’onda, infine, anche i magistrati di Cassazione, per i quali non rileva, in aggiunta, l’esistenza di un titolo in base al quale il rivendicante detiene gli immobili in cui i beni mobili rivendicati sono custoditi, essendo il rivendicante onerato, in ogni caso, della doppia prova della proprietà del bene e dell’affidamento del bene al debitore per un titolo diverso dalla proprietà.
Non risulta poi dedotto in che termini l’inventariazione dei beni della fallita al di fuori dei locali dell’impresa avrebbe potuto condizionare il giudizio relativo alla proprietà dei beni oggetto di rivendica, osservano i magistrati di Cassazione, i quali aggiungono che, d’altro canto, ove l’inventario venga esteso a quanto rinvenuto in locali dati in comodato al rivendicante da un terzo, la circostanza in sé non fa venir meno l’avvenuta presunzione di legittimità e inerenza alla massa dell’apprensione dei beni che il curatore ha fatto nei locali dell’impresa e, in ogni caso, sui beni del debitore.