Stop alla pesca di fondo: legittimo il provvedimento della Commissione Europea

Respinte le obiezioni sollevate dalla Spagna e da alcuni enti operanti nel settore della pesca

Stop alla pesca di fondo: legittimo il provvedimento della Commissione Europea

Sacrosanta la tutela dell’ambiente, anche, in particolare, con riferimento alla conservazione delle risorse biologiche marine. Applicando questo principio, i giudici (sentenze dell’11 giugno 2025 del Tribunale dell’Unione Europea) hanno sancito la legittimità della determinazione, da parte della Commissione Europea, di maggiore tutela per alcune zone che sono notoriamente o probabilmente caratterizzate dalla presenza di ecosistemi marini vulnerabili in alcune aree di pesca in acque profonde. Respinte le obiezioni sollevate, nello specifico, dalla Spagna e da vari enti operanti nel settore della pesca.
In generale, l’Unione Europea vigila sulla conservazione e sullo sfruttamento sostenibile delle risorse biologiche marine. In tale ottica sono state adottate varie misure relative alla pesca sostenibile delle specie negli habitat di acque profonde. E in attuazione di dette misure, la Commissione Europea ha adottato un regolamento che istituisce un elenco delle zone di pesca in acque profonde notoriamente o probabilmente caratterizzate dalla presenza di ecosistemi marini vulnerabili nelle acque, di appartenenza dell’Unione Europea, dell’Atlantico nord-orientale. In tali zone è vietata, in sostanza, la pesca con attrezzi di fondo.
A fronte di tale provvedimento la Spagna e vari enti che riuniscono pescatori delle regioni spagnole della Galizia e delle Asturie hanno contestato la designazione delle zone effettuata dalla Commissione Europea.
Per i giudici, però, innanzitutto, la qualificazione come zona notoriamente o probabilmente caratterizzata dalla presenza di ecosistemi marini vulnerabili si basa sulla presenza accertata o probabile delle specie protette nonché sulle caratteristiche dell’ecosistema propriamente detto. Ciò garantisce la sua tutela contro gli effetti negativi significativi degli attrezzi di fondo in generale.
Di conseguenza, la Commissione Europea non è quindi tenuta, spiegano i giudici, a valutare la fragilità degli ecosistemi con riferimento a ciascun tipo di attrezzo utilizzato (in particolare gli attrezzi di fondo fissi, come il palangaro demersale, utilizzato dai pescatori che hanno impugnato il provvedimento), né a valutare le conseguenze delle misure di conservazione sulle attività di pesca e sulla vita economica e sociale.
Allo stesso tempo, non è stato dimostrato, osservano i giudici, che la Commissione Europea abbia manifestamente ecceduto il suo potere discrezionale utilizzando, in sede di determinazione delle zone, una certa metodologia proposta nel pertinente parere del ‘Consiglio internazionale per l’esplorazione del mare’. E non è stato neppure dimostrato che il metodo seguito non fosse appropriato, che esso non fosse idoneo a contribuire all’obiettivo di protezione perseguito o ancora che un altro metodo sarebbe stato più efficace ai fini della delimitazione delle zone.
I giudici chiariscono infine che con il divieto indiscriminato di pesca con attrezzi di fondo in tutte le zone designate la Commissione Europea non ha violato le norme della politica comune della pesca. Soprattutto perché, per un verso, il divieto stesso non si applica alla pesca con attrezzi di fondo a profondità pari o inferiore a 400 metri, e, per altro verso, la Spagna e i pescatori non hanno dimostrato che gli attrezzi fissi siano privi di effetti negativi, così da poter escludere il rischio che essi presentano per gli ecosistemi marini vulnerabili.

news più recenti

Mostra di più...