Violato l’obbligo di informazione: possibile negare gli interessi alla banca
Rilevante il fatto che il contratto si basi su indicatori difficilmente verificabili dal consumatore

Contratti di credito ai consumatori: in caso di inosservanza dell’obbligo di informazione, una banca può essere privata del suo diritto agli interessi. Ciò può verificarsi anche quando la gravità individuale della violazione di tale obbligo e le sue conseguenze per il consumatore possono variare a seconda dei casi. Questi i punti fermi fissati dai giudici (sentenza del 13 febbraio 2025 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea), chiamata a prendere in esame il caso sollevato da una società polacca di recupero crediti a cui un consumatore ha ceduto i suoi diritti derivanti da un contratto di credito concluso con una banca. Tale società sostiene che la banca è venuta meno al suo obbligo di informazione nei confronti del consumatore al momento della conclusione del contratto. E perciò chiede alla banca il versamento di una somma di denaro corrispondente agli interessi e alle spese pagati da tale consumatore. A sostegno di questa domanda, la società ritiene, da un lato, che il tasso annuo effettivo globale (TAEG) sarebbe stato sovrastimato, e una delle clausole del contratto prese in considerazione per il calcolo di tale tasso dovrebbe essere dichiarata abusiva e, pertanto, non sarebbe vincolante per il consumatore. Dall’altro lato, il contratto non preciserebbe, sempre secondo la società, in modo chiaro i motivi e le modalità di aumento delle spese connesse alla sua esecuzione. Tali inadempimenti dovrebbero, secondo la società, determinare l’applicazione della sanzione prevista dalla legge nazionale e, pertanto, rendere il credito esente dagli interessi e dalle spese stabiliti nel contratto. Due le domande: la banca ha violato l’obbligo di informazione previsto dal diritto dell’Unione Europea? E il fatto di privare la banca del suo diritto agli interessi e alle spese è compatibile con il diritto dell’Unione Europea? Prima di rispondere a tali interrogativi, i giudici ricordano, in primo luogo, che nel contratto di credito deve figurare, in modo chiaro e conciso, il TAEG calcolato al momento della sua conclusione. Tuttavia, il calcolo del TAEG presuppone che il contratto rimanga valido per il periodo di tempo convenuto. Pertanto, il fatto che in un contratto di credito figuri un TAEG che si rivela sovrastimato, poiché talune clausole di tale contratto vengono successivamente ritenute abusive, non costituisce, di per sé, una violazione dell’obbligo di informazione. In secondo luogo, il contratto deve descrivere, in modo chiaro e comprensibile, le condizioni in cui può intervenire una modifica di spese connesse alla sua esecuzione. Il fatto che, a tal fine, il contratto si basi su indicatori difficilmente verificabili dal consumatore può violare l’obbligo di informazione. È quanto avviene quando un consumatore medio non può verificare né il sopravvenire delle circostanze che giustificano tale modifica né la loro incidenza su tali spese, non essendo egli, quindi, in grado di comprendere la portata del suo impegno. Tocca al giudice nazionale verificare se ciò avvenga nella specifica controversia. In terzo luogo, in caso di violazione dell’obbligo di informazione che incida sulla capacità del consumatore di valutare la portata del suo impegno, la banca può essere privata del diritto agli interessi e alle spese. E tale sanzione è proporzionata, benché la gravità individuale della violazione e le conseguenze che ne derivano per il consumatore possano variare a seconda dei casi.